Inchiesta sui tamponi rapidi, la Procura chiamò Massimo Galli come consulente. La Abbott archiviata - CorrieredelVeneto.it

2022-08-14 09:38:25 By : Mr. Zheng Huang

C’era un’altra persona sotto inchiesta per l’ affaire dei tamponi rapidi: la milanese Gabriella Di Marzio era finita nel registro degli indagati con accuse pesanti, di frode e inadempimento nelle pubbliche forniture. Dopo diversi accertamenti nei suoi confronti la procura di Padova ha deciso di chiedere l’archiviazione, ma il retroscena racconta parecchio di com’è stata condotta l’inchiesta che sta scuotendo la Sanità veneta e che – altra novità che emerge ora – era arrivata a coinvolgere, in veste di consulente degli investigatori, anche l’infettivologo Massimo Galli, uno dei volti-simbolo della lotta alla pandemia.

Le accuse nei confronti degli indagati

Di Marzio è la rappresentante per l’Italia di «Abbott» , la grande società farmaceutica con sede negli Stati Uniti che nell’estate del 2020 vendette (in due tranche) ad Azienda Zero 480mila test antigenici di prima generazione , incassando 2,16 milioni di euro. Proprio per quei tamponi, la procura di Padova ha chiesto il rinvio a giudizio (per falso ideologico e turbata libertà di scelta del contraente) del medico trevigiano Roberto Rigoli, all’epoca a capo delle Microbiologie del Veneto, e della manager vicentina Patrizia Simionato che fino allo scorso anno era direttrice generale di Azienda Zero . Secondo l’accusa Rigoli avrebbe «attestato falsamente» di aver verificato l’efficacia dei tamponi Abott, stabilendo quindi che erano in grado di individuare i pazienti contagiati con una precisione di almeno l’80 per cento. Una indagine «tecnico-clinico-scientifica» che il medico, in realtà, non avrebbe mai svolto spalancando così le porte, all’azienda farmaceutica, della commessa milionaria.

Galli contattato come esperto sui test rapidi

Si torna quindi alla Abbott. Nel maggio del 2021 la procura di Padova ordina di perquisire la sede italiana dell’azienda, ed è in quel momento che la Di Marzio scopre di essere indagata. Di lì a breve affida quindi ai magistrati una lunga memoria difensiva nella quale sostiene, dati alla mano, che i test rapidi rispettavano alla lettera le caratteristiche di efficacia richieste dalla Regione. A quel punto la Procura contatta Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano considerato un luminare in materia. Il compito che gli viene affidato è di sottoporre «un numero adeguato» di pazienti al test rapido dell’Abbott, in modo da confrontare il risultato ottenuto con il responso del tampone molecolare. Così si poteva rispondere al quesito fondamentale di tutta questa faccenda: quei dispositivi funzionavano o no? La risposta, purtroppo, non è mai arrivata : Galli finisce a sua volta sotto inchiesta da parte della procura di Milano, nell’ambito di un’indagine sui concorsi truccati all’Università, e a quel punto avvisa Padova dell’intenzione di farsi da parte.

I dubbi della Procura: gli imputati si difendono

A quel punto, la posizione della Di Marzio viene stralciata e infine archiviata. Dagli atti emerge che la sua memoria difensiva finisce nelle mani del microbiologo Andrea Crisanti (lo stesso che, con la propria denuncia, aveva fatto partire l’intera indagine) il quale affida le proprie impressioni al magistrato. Restano i molti dubbi sui quali tenteranno di insinuarsi i difensori della Simionato (avvocato Alessandro Moscatelli) e di Rigoli (avvocato Giuseppe Pavan), a cominciare da quelli relativi all’efficacia dei test ai quali si decise di affidare le sorti sanitarie dei veneti in quei mesi di grande emergenza. I due imputati respingono le accuse e assicurano di aver agito correttamente: possibile che un prodotto approvato dall’Oms e diffuso in 120 Paesi si reggesse su dati falsati? Forse non lo crede neppure la Procura , visto che ha ritirato le accuse rivolte alla Abbott. E allora è probabile che spetterà al giudice nominare un perito per capire, una volta per tutte, se davvero la nostra regione si trovò a combattere la pandemia usando delle armi spuntate.

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